The Nose - El Capitan

El Capitan

THE NOSE

"Long, sustained and flawless; the Nose may be the best rock climb in the world; it is certainly the best known."
(Chris McNamara, Yosemite - Big Walls, Supertopo)


"Il mattino dopo vedo finalmente la montagna dei miei sogni, El capitan, giallo dorato, gigantesco, semplicemente bello. Che colori! Siamo seduti sulle sponde del Merced River, i piedi nell’acqua e facciamo colazione. Enormi sequoie, verdi e vive oppure scheletri carbonizzati dai fulmini, si ergono verso l’alto. Poi c’è solo il cielo azzurro e l’infinito della parete di granito dorato. Se questo è oro, allora ogni arrampicatore è un re." (Reinhard Karl, Yosemite arrampicare nel paradiso verticale, dall’Oglio)

"In una delle mie visite in California, all’inizio degli anni Novanta, incontrai il mio vecchio amico John Long. Mentre stavamo parlando dei miei progetti per il futuro, John suggerì: Lynnie, dovresti provare a fare la prima salita in libera della via del Nose al Capitan. E’ uno degli ultimi grandi problemi dell’arrampicata in America. Ma certo! John aveva ragione. Era proprio il genere di sfida che stavo cercando. La via del Nose segue la linea più evidente proprio al centro del più grande monolito di granito della Yosemite Valley ed è forse la più famosa Big Wall del mondo." (Lynn Hill, Climbing Free, I Licheni Cda/Vivalda)

"That first impression of the Valley - white water, azaleas, cool fir caverns, tall pines and stolid oaks, cliffs rising to undreamed-of heights, the poignant sounds and smells of the Sierra... was a culmination of experience so intense as to be almost painful. From that day in 1916, my life has been colored and modulated by the great earth-gesture of the Sierra."  (Ansel Adams, Yosemite, Little, Brown)

Itinerari d’autore

Quasi due secoli sono passati dalla prima comparsa dell’uomo bianco in questa valle celebre in tutto il mondo - prima il luogo era frequentato solo dalla tribù degli Ahwahnee, ma ancora oggi le sensazioni suscitate dalla vista della magnifica Valle non sono cambiate. Innumerevoli foto su libri e riviste ed altrettante visionabili in rete e filmati hanno portato le immagini di Yosemite e quindi delle sue pareti in tutto il mondo.

Da vent’anni conoscevamo le forme ed i nomi delle pareti, dei singoli tiri di corda delle vie più famose, tanto da temere di poter essere delusi da un’eventuale visita di quei luoghi tanto blasonati e quasi “inflazionati”. Sino al grande giorno.

 

 

Arrivo a Yosemitie

Vorremmo già essere su!


È un’anonima giornata di fine ottobre ed è quasi mezzanotte, quando fermiamo l’auto all’ingresso della Valle, di colpo, perchè nell’oscurità si profila, immensa, a sinistra, rischiarata dalla luce lunare, una parete enorme: El Capitan. Non c’è dubbio è lei, la più famosa big wall del mondo. E’ bellissima, restiamo senza fiato, così ad osservarla in silenzio, per minuti, sussurrando solo: “E' bellissima”. Alcune luci sulla parete ci fanno ipotizzare la presenza di diverse cordate: proviamo ad indovinare il nome delle vie. 

Il giorno seguente lo passiamo a preparare il materiale ed il saccone e solo a pomeriggio inoltrato con l’ultimo sole riusciamo a portarci all’attacco della via, a risalirne il primo facile tiro di corda e a provare ad imbastire il primo penoso recupero del sacco. Non abbiamo mai affrontato una via in stile Big Wall, ma non abbiamo fretta, vogliamo solo concederci una bella e piacevole vacanza verticale e siamo fiduciosi di imparare a muoverci su una parete tanto grande e complessa strada facendo.

Lasciamo il sacco alla prima sosta e torniamo a dormire in campeggio: domani si parte!

Il Nose

Il primo giorno


Il primo giorno comincia lentamente, all’alba, e vede Valentina condurre da capocordata in un alternarsi d’arrampicata libera ed artificiale; a lei toccherà anche recuperare il sacco, mentre Luca risale in Jumar ripulendo il percorso dal materiale. Alle “Sickle ledges” il cambio: ora è Luca a condurre la salita ed il primo mitico ostacolo -il pendolo per raggiungere le Stovelegs cracks- è presto superato anche se non senza qualche timore di non riuscire a saltare al di là del diedro che si trova proprio a metà del grande pendolo.

Le splendide fessure delle Stovelegs (così chiamate perchè Harding - il primo salitore del Nose - le salì usando come chiodi dei piedi di stufa segati) ci sembrano ben più difficili di quanto non sia dichiarato nella relazione; facciamo quindi l’esperienza della difficile arrampicata ad incastro dello Yosemite. La parete ora si fa più ripida, ma almeno questo ci fa risparmiare un po’ di energia nel recupero del pesante saccone. Arriviamo alla Dolt Tower - un esiguo e comodo terrazzino a 300 metri da terra - quando il sole se ne sta andando e decidiamo di prepararci per la prima notte in parete. 

Non ci facciamo mancare niente a cena, siamo qui per vivere tre giorni in verticale e vogliamo stare bene senza troppe privazioni, per cui cerchiamo di rendere soprattutto i bivacchi il più confortevole possibile, con materassini, caldi sacchi a pelo (è ormai Novembre) e cibo a volontà.

Primi tiri

Il secondo giorno

Riparte Valentina e condurrà per metà giornata


Abbiamo scelto di dividere le giornate in due parti e non di procedere in una classica “alternata” alpina per diversi motivi: il secondo risale a jumar perchè il primo è impegnato nel recupero del sacco, cambiare ad ogni sosta l’assetto della cordata comporterebbe una perdita di tempo; in questo modo si automatizzano alcuni compiti e manovre che traggono beneficio -in termini di velocità e sicurezza- dalla ripetizione.

Eccoci su El Cap Tower, una torre gigantesca appoggiata alla parete e da cui comincia uno dei tratti più rischiosi dell’intera ascensione: il Texas Flake, un’enorme sfoglia di granito alta 50 metri con la forma dello stato del Texas. Bisogna salirla al suo interno inizialmente con la tecnica d’opposizione in camino, poi questa si stringe progressivamente verso l’alto e bisogna incastrarsi e strisciare letteralmente verso l’alto, con la spiacevole sensazione della fessura che si allarga sotto i piedi e che impedisce un facile incastro: bisogna continuamente tenere tutto il corpo in tensione e progredire centimetro dopo centimetro con ondulazioni tipo "bruco". Le pareti assolutamente lisce non lasciano speranza di protezione e solamente un timido spit a metà lunghezza dà una piccola parvenza di sicurezza.

Siamo ora sul Boot Flake, un’altra foglia di granito, questa volta a forma di stivale, incollata in vero oceano di granito dorato.Da qui la via prosegue decisamente spostata verso sinistra e bisogna aggirare un grande spigolo arrotondato, privo di fessure, attraverso il secondo grande pendolo di questa via incredibile: il King Swing. Una prima calata seguita da un pendolo porta a mettere una protezione verso sinistra; da qui bisogna farsi calare nuovamente ed un altro pendolo verso sinistra conduce fuori dalla vista del compagno ad un sistema di fessure che condurrà alla Eagle Ledge. È Luca a fare il grande pendolo e trova un sistema non ortodosso: dopo alcuni tentativi falliti di raggiungere le fessure correndo, decide di effettuare una traversata sfruttando la tensione della corda tesa e l’attrito delle suole “spalmate” in aderenza. Riesce così al primo tentativo, con grande stupore di Valentina. La manovra di recupero del sacco porta via qui molto tempo e solo con la penombra riusciamo ad arrivare al terrazzino scomodo ed inclinato chiamato Camp IV, dove passiamo la seconda notte in parete.

NEL CUORE DELLA PARETE

Il terzo giorno


Il mattino sveglia Valentina che dopo un breve tiro di riscaldamento deve affrontare quello che è uno dei tratti più famosi dell’intero percorso: il tiro del Great Roof. Estremo in arrampicata libera, si lascia salire in artificiale abbastanza facilmente; ci fotografiamo diverse volte e la prospettiva verso il basso comincia ad assumere le sembianze che ci ricordiamo dalle tante immagini viste in passato. Ora è il Pancake Flake a dover essere salito, uno dei tratti più estetici della parete: un diedro geometrico perfetto, la roccia di un colore giallo arancio oro che è un inno alla scalata. Ora la parete si fa pian piano sempre più strapiombante e complice il fatto che gran parte dei viveri e dell’acqua l’abbiamo consumata, il recupero del sacco è un’operazione sempre più facile da eseguire.

Arriviamo con largo anticipo sui tempi al nostro posto di bivacco - il Camp VI - e Valentina decide di fissare le corde anche sul primo tiro previsto per domani: il difficile e celebre Changing corners. Questo è il tratto più difficile dell’ascensione e solo Lynn Hill è riuscita a salirlo in libera (nel 2005 anche Tommy Caldwell) al momento della nostra salita. Anche in artificiale il passaggio non è semplice ed impegna Valentina a lungo. Luca si gode sdraiato in sosta nel sacco a pelo gli ultimi raggi di sole.

Ridiscesa Valentina sul comodissimo terrazzo del bivacco diamo fondo a tutte le provviste -poche lunghezze ci separano ormai dalla cima- e cominciamo a pensare di essere ormai riusciti a salire il mitico Nose. E’ vero che un’ascensione come la nostra (con tutti i tratti difficili superati in artificiale) non è cosa strabiliante ed alla portata di molti scalatori con buona esperienza; ma è anche vero che fino a quando non lo hai fatto... In fondo sapevamo di molte rinunce e tentativi falliti anche ai nostri giorni anche da parte di scalatori più forti di noi, soprattutto quello che c’impensieriva era non avere esperienza in merito a big wall ed alle manovre di corda tipiche di questo stile. Temevamo d’essere lenti e di perdere la motivazione una volta in parete, cosa che facilmente può succedere quando dopo diversi tiri di corda alzi la testa e vedi la meta che sembra sempre alla stessa distanza. Questi sono i pensieri che ci accompagnano in quest’ultima sera verticale e prima di addormentarci ci diciamo che da domani faremo per un po’ i turisti, però!

Great Roof

In cima


Il giorno successivo risalita la corda fissata la sera precedente non ci rimangono che poche lunghezze di corda ed arriviamo a metà mattina su questa cima che non è proprio una cima, ma un altopiano, finalmente ci sleghiamo dopo tanto tempo e togliamo l’imbragatura e camminiamo in orizzontale su un piano che non sia più piccolo di 2 mq.

Un Grande disse qualche anno fa che "la vita non è altro che la realizzazione dei sogni di gioventù."

On the top

Cosa ci siamo portati

1 corda intera
2 mezze corde
3 maniglie Jumar e 1 croll
20 rinvii + moschettoni liberi
cordini e fettucce e staffe
secchiello + piastrina
pro traxion
2 serie di nuts
2 serie di micro nuts
3 serie di friends da 0.5 a 1 pollice
da 2 a 3 per ogni misura di friends da 1,5 a 3,5 pollici
1 per ogni misura di friends da 3,5 a 4,5 pollici
(tabella comparativa delle misure di friends delle varie marche e pollici su www.supertopo.com)
Non abbiamo usato martello e chiodi da roccia ma solo protezioni veloci.
1 casco

2 sacchi a pelo + 2 materassini
1 fornellino + 2 pentolini + posate
Viveri per 3 giorni e 16 litri di acqua (e ne abbiamo avanzata ma a Novembre la Tmax è stata di +13°, in altre stagioni aumentare la razione giornaliera)

1 lampada a gas
2 pile frontali
macchina fotografica